martedì 3 novembre 2015

» Lirica

Come lirica rappresentante l'imprecisione ho scelto il poemetto Re Orso di Arrigo Boito, esponente della scapigliatura, che utilizza per la stesura della lirica il polimetro .


Allego solo un estratto del poemetto poiché troppo lungo, qui il link per leggerlo in versione integrale.


ORSO VIVO

STORIE ANTICHE

Prima che al mondo si dicesse 1000,
Viveva in Creta un Re. La maledetta
Per l'amor di Pasife isola infame,
Terra di mostri e di delitti, aveva
Re pari ad essa, ed era il Re nel nome
Feroce a dirsi, al suo cuor pari: Orso.
Cento cittadi gli rendean tributo
D'oro, di gloria e di paura; il mare
Di perle e di tempeste; il montuoso
Suol del suo regno di smeraldi, e murra
E d'a quei diamanti e di tremuoti.
Sul real scudo si leggeva in cifre
Scritte col sangue, ch'ei chiamava il vino
Delle battaglie, questo truce motto:
"Terroris terror", ed un orso d'oro
In campo ner lo stemma era del Duca.
Un serraglio di belve ed un di donne
Nudrìa nella sua reggia, ed ei nell'uno
Passava i giorni, nell'altro le notti.
Alle iene venia col crin spruzzato
D'olio di nardo e co' lascivi odori
Del suo letto d'avorio, ed alle donne
Redìa col leppo delle sozze iene,
E lordo il volto pe' sanguigni baci
Delle leonesse. Un avoltor di Libia
Chiercuto e fier, solea spesso sul palmo
Posarsi del monarca; egli era destro
A rapina d'agnelle e di palombe
Per bieca natura, e dagli schiavi
Educato a furar ori ed argenti
Per sollazzo del Duca. A sir Drogonte
Conte di Puglia egli ebbe un dì spiccato
Col rostro adunco la più bella gemma
Di sua corona, onde ne fu conflitto
Fra i due Signori. Ma più pauroso
Alla vista e maligno era un serpente
Immane e gonfio e negro e simigliante
Nel viscoso strisciar alla gomena
Incatramata; sull'aguto grifo
Portava un segno qual di teschio umano.
Alla voce del Duca egli tendeva
Erte le anella ed ubbidiva come
Debil fanciullo. Misteri di sangue
E di violenza infami eran fra 'l Duca
Ed il serpente; guardiano al varco
Del gineceo vegliava il mostro attorto
Co' groppi orrendi, né schiava mai
Tentò passo di fuga in quelle stanze.

Dodici Conti aveva il Duca eletti
A suoi ministri, e legge era di Stato
Che in sua presenza ei ripetesser muti
Ciò ch'ei compiva. Un dì bevendo a cena,
Ebro il Duca, ebri i Conti (avea ciascuno
La sua donna da lato) il Duca afferra
Mosso da noia o da delirio, il crine
Di Mirra sua, soave amor, fanciulla
Giovanissima e bella, e col pugnale
Ne schianta la testa; allor d'un colpo
Dodici teste rotolâr sul desco.
Pur nel dimane sentì cruccio il Duca
Del tetro caso e la sua bruna Mirra
Pensò e l'azzurra delle sue pupille
Onda serena, e l'oriental scienza
Delle sue carni or non più calde; e scrisse
Per Vitale Candian Doge a Venezia
E suo congiunto, un famigliar preghiero
Ove chiedea la più formosa donna
Delle lagune e la più casta. Il Doge
Trovò la Dea da un usurier sul lido
Della Giudecca, che vendea per oro
Le figlie sue; poi su galèa dogale
La mandò regalmente a quel di Creta.

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